Perché gli impressionisti piacciono così tanto

La rivoluzione dell’arte parte dalla mostra del salon des rifuges che Napoleone III quasi caritatevolmente concede e nella quale viene esposta la tela che fa più scalpore. Colazione sull’erba. La tela è una bellezza armonica disarmante, la donna al centro tanto diversa dalle donne/dee dell’età greca è fatta di carne e sangue. Nulla di idealizzato nulla di diverso da una semplice donna. E’ un dipinto che farà parlare molto di sè, non fosse altro che per la meraviglia che suscita quella macchia bianca centrale, che cattura lo sguardo, come se fossimo noi stessi a plasmare le linee morbide di quel corpo femminile. L’incarnato è pallido, non a caso, la donna è li in quanto tale, donna, forse anche licenziosa, carnale, reale. Manet, sapeva che il suo dipinto avrebbe creato scandalo ma, questo, sembra essere l’incipit di ogni opera del tempo. Criticata per essere ricordata, il che accadrà spesso anche nei movimenti del primo trentennio del novecento. Quando nel 1872 Monet espone la sua opera, alla quale viene dato il nome di impressione, che darà il nome a tutto il movimento, la critica si scatena. Un dipinto appena abbozzato eletto a opera d’arte, secondo alcuni, “meno definito di una carta da parati” secondo i critici dell’epoca. Quale è il limite tra l’opera finita quella non finita? Dove vuole arrivare l’artista? Dove si vuole fermare? Allora perchè questo movimento attrae cosi tanto? Questo gruppo di artisti che si riunisce in maniera casuale, senza un manifesto, senza linee guida, in alcuni casi anche in contrasto, ma così convinti di seguire quella strada. Alla stessa maniera di Ungaretti e Montale che, slegando al poesia dal verso baciato, la democratizzano; gli impressionisti spezzando la visione tecnicista del periodo neoclassico, per arrivare alla nuova pittura fatta di istinto, dolore, passione, più complessamente di impressioni. Una ricerca della visione soggettiva della realtà, una visione che si concretizza nell’en plein air. Lo scorrere del tempo e la luce, nella variazione dell’arco solorare, come strumento per fissare impressioni. La tavolozza dei colori è la più ampia possibile. L’artista diventa girovago, staziona anche più volte nello stesso posto per coglierne le dirverse angolazioni di luci e ombre. Una lettura immediata della tela, oggetto, luce, colore e tempo, nient’altro. 


Commenti

Post più popolari